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Succedono cose che lasciano il segno.
A volte sono solo fatti che vengono raccontati dai
giornali, dalla radio o dalla televisione.
Altre volte sono avvenimenti più personali, più intimi, che ci toccano da
vicino ma che nascono più dal nostro animo.
Questo spazio è dedicato alle mie riflessioni.
7 maggio 2009
Il
Lavoro si promuove,
il lavoro si difende, il lavoro è un valore se è di tutti e non di pochi
- il tasso di occupazione femminile
- il tasso di cittadini partecipanti all’educazione degli adulti;
31 dicembre 2008
Capodanno a Novalesa
Neve, neve, neve e niente botti
Amici tanti e dodici rintocchi
16 NOVEMBRE 07
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca.
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori che presentava a novembre di ciascun anno un Rapporto Isfol
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori che presentava a novembre di ciascun anno un Rapporto Isfol che parlava di Formazione e di Lavoro
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori che presentava a novembre di ciascun anno un Rapporto Isfol che parlava di Formazione e di Lavoro e l’appuntamento di novembre era un Evento importante per la vita dell’Istituto, anzi l’Evento
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori che presentava a novembre di ciascun anno un Rapporto Isfol che parlava di Formazione e di Lavoro e l’appuntamento di novembre era un Evento importante per la vita dell’Istituto, anzi l’Evento. Il Rapporto era scritto da tutti i ricercatori dell’Istituto e i loro nomi erano indicati nei credits, si presentavano dati originali e si raccontava, in via indiretta, la vita dell’Istituto attraverso i risultati dei propri studi.
Esisteva a Roma un Istituto di Ricerca che si chiamava ISFOL – Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei lavoratori che presentava a novembre di ciascun anno un Rapporto Isfol che parlava di Formazione e di Lavoro e l’appuntamento di novembre era un Evento importante per la vita dell’Istituto, anzi l’Evento. Il Rapporto era scritto da tutti i ricercatori dell’Istituto e i loro nomi erano indicati nei credits, si presentavano dati originali e si raccontava, in via indiretta, la vita dell’Istituto attraverso i risultati dei propri studi. Per evitare che si “bruciassero” i dati originali esisteva l’embargo del Rapporto sino al momento della conferenza stampa il giorno prima della presentazione pubblica del Rapporto. Si limitavano tutte le uscite pubbliche dell’Isfol il ottobre-novembre per non togliere appeal all’appuntamento della presentazione del Rapporto.
(dopo aver letto
Esiste a Roma un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro, che ha fatto uno studio sui raccomandati.
Esiste a Roma un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro, che ha fatto uno studio sui raccomandati. Questo studio è il Rapporto annuale dell’Isfol “che verrà presentato a Roma il 21 novembre”
Esiste a Roma un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro, che ha fatto uno studio sui raccomandati. Questo studio è il Rapporto annuale dell’Isfol “che verrà presentato a Roma il 21 novembre”. Il Rapporto dell’Isfol non è più oggetto di embargo se vengono pubblicate sul giornale tabelle che si intende siano prese dal Rapporto.
Esiste a Roma un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro, che ha fatto uno studio sui raccomandati. Questo studio è il Rapporto annuale dell’Isfol “che verrà presentato a Roma il 21 novembre”. Il Rapporto dell’Isfol non è più oggetto di embargo se vengono pubblicate sul giornale tabelle che si intende siano prese dal Rapporto. In questo Istituto i dati del Rapporto non vengono presentati e commentati dal Presidente (che illustrerà ai giornalisti il 20 e agli interlocutori istituzionali e agli addetti ai lavori il 21 il Rapporto) ma da una prestigiosa ricercatrice dell’Istituto e “chiosati” da De Masi.
Esiste a Roma
un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro,
che ha fatto uno studio sui raccomandati. Questo studio è il Rapporto annuale
dell’Isfol “che verrà presentato a Roma il
21 novembre”. Il Rapporto dell’Isfol non è più oggetto di embargo se vengono pubblicate sul giornale tabelle che si
intende siano prese dal Rapporto. In questo Istituto i
dati del Rapporto non vengono presentati e commentati dal Presidente (che
illustrerà ai giornalisti il 20 e agli interlocutori istituzionali e agli
addetti ai lavori il 21 il Rapporto) ma
da una prestigiosa ricercatrice dell’Istituto e “chiosati” da
De Masi. I dati illustrati possono essere interpretati in vari modi, come
sempre, ma sembra che l’Isfol non sia d’accordo che i Centri per
l’impiego provinciali si occupino della parte più svantaggiata del
mercato del lavoro. Si dice anche che,
“semplicemente non funzionano”, i centri pubblici. E si intende, tutti. Lo dice
Esiste a Roma
un Istituto di ricerca che si chiama Isfol - istituto per la formazione del lavoro,
che ha fatto uno studio sui raccomandati. Questo studio è il Rapporto annuale
dell’Isfol “che verrà presentato a Roma il
21 novembre”. Il Rapporto dell’Isfol non è più oggetto di embargo se vengono pubblicate sul giornale tabelle che si
intende siano prese dal Rapporto. In questo Istituto i
dati del Rapporto non vengono presentati e commentati dal Presidente (che
illustrerà ai giornalisti il 20 e agli interlocutori istituzionali e agli
addetti ai lavori il 21 il Rapporto) ma
da una prestigiosa ricercatrice dell’Istituto e “chiosati” da
De Masi. I dati illustrati possono essere interpretati in vari modi, come
sempre, ma sembra che l’Isfol non sia d’accordo che i Centri per
l’impiego provinciali si occupino della parte più svantaggiata del
mercato del lavoro. Si dice anche che,
“semplicemente non funzionano”, i centri pubblici. E si intende, tutti. Lo dice
Esisteva a Roma un Istituto di ricerca, ora
forse non più.
Al suo posto ormai esiste un ente pubblico
dove le regole vengono dettate ma non vengono mai
rispettate, per esigenze di servizio, ovviamente, e dove “quattro persone su dieci trovano il
posto grazie alle segnalazioni di parenti e amici. Lo dice il Rapporto Isfol
2007. E’ un dato scientifico.
10 OTTOBRE 2007
Oggi ho votato sì alla consultazione voluta dal sindacato.
Non sono molto convinto di alcuni dei punti previsti dall’accordo e credo che sarebbe stato meglio sottoporre alla votazione il documento per punti, come si fa per i testi di legge che hanno due letture, una globale e un’altra per parti separate. L’accordo tocca troppe materie: la previdenza, l’assistenza, gli ammortizzatori sociali, la riforma delle pensioni e il superamento dello “scalone Maroni”, il precariato e altro ancora. Ho osservato che all’Isfol ha votato solo il 28% dei lavoratori “aventi diritto”. Pochi. Un tempo queste strutture avevano una forte rappresentanza sindacale. Oggi noi ci occupiamo di politiche attive e dei problemi dei lavoratori ma ci comportiamo come quella parte dei lavoratori che pensano che i problemi non si debbano affrontano in una dimensione collettiva. Meglio fare da soli o rivolgendosi a leadership del momento. Credo che serva l’organizzazione e credo che questa debba essere democratica.
La consultazione, con tutti i suoi limiti, è stata un esercizio di democrazia. Quella democrazia dal basso e nei luoghi di lavoro cui non siamo abituati. Esprimere il proprio punto di vista anche con un no è importante. Spero che il testo dell’accordo venga migliorato. (per la cronaca, hanno vinto i sì con circa l’80% dei voti).
Certo, Padoa Schioppa vigila perché non ci siamo spese che ci spingano fuori dai parametri di Maastricht, ma sarà poi vero che il nostro paese stia poi così male?
Certo, l’economia va male, la società è vecchia e impreparata ad affrontare le sfide della globalizzazione, la cultura è un’appendice della televisione commerciale (ed è commerciale anche quella di Stato…),…
Ma allora, se le cose stanno così, perché si decide di far crescere l’Isfol senza un criterio di rigore? E’ forse questo lo sviluppo della società della conoscenza e dell’economia della conoscenza di cui favoleggiamo invocando Lisbona 2000 ?
7 ottobre 2007
Oggi è la giornata dell’Eroica. Non quella sinfonia che ho conosciuto da ragazzo ma la corsa di ciclisti d’epoca che si tiene ogni anno a Gaiole in Chianti.
Uno dei migliori modi di stressare il fisico e la mente seguendo la luce dell’autunno lungo le strade sterrate delle colline e di boschi del Chianti. 2400 ciclisti fra i quali spiccavano vecchie glorie e randonneurs abituati alle uscite in bici di 200 chilometri che si sono dati appuntamento con le bici d’epoca per rivivere miti e per inseguire sogni ad occhi aperti. Una poesia lunga 75 chilometri.
Nel Diario della bici, all’interno di questo sito web, ho fatto la cronaca della giornata e ho messo in linea alcune immagini scattate con il Nokia e con la Nikon che fanno vedere le facce, le maglie e le bici dell’Eroica. Andate a vederle.
20 giugno 2007
Franco Frigo , il sindacato e l’Isfol
Ho lavorato per il sindacato (all’Isril) quando ero un giovane ricercatore e imparavo da Pietro Merli Brandini e da Giuseppe Bianchi come si poteva studiare l’evoluzione delle professionalità e l’impatto delle lotte dei lavoratori della fine degli anni 60. La cosa che mi ha colpito di più in quegli anni (io giovane ingenuo sessantottino provinciale) è stato lo scoprire che il sindacato non era che una delle tante organizzazioni sociali che creava classe dirigente e più il sindacato era legato al mondo cattolico e più i suoi dirigenti avevano il futuro garantito. Dalla Cisl si passava all’aula del Parlamento o alla Direzione generale (o Presidenza) di una società delle Partecipazioni Statali o di un Ente pubblico di rilevanza nazionale.
Per molti anni questa prassi ha riguardato essenzialmente la Cisl. Poi è venuto il momento della Uil. I socialisti della UIL erano tutti manager, manager per tutte le stagioni.
Ora l’aria è cambiata. I tempi sono diversi da quando il Muro di Berlino è crollato, da quando il PCI è diventato DS, e cambierà ancora con il nuovo PD.
Nel “Piccolo Mondo” nuovo nel quale io mi trovo le cose sono già cambiate.
Il Direttore Generale dell’Isfol ha una curriculum nel quale spiccano i 25 anni passati nella CGIL come responsabile di Federazioni o di strutture regionali e il Dirigente della Divisione del Ministereo del Lavoro con la quale mi confronto e collaboro viene dalla stessa organizzazione sindacale.
Abbiamo un Ministro del Lavoro che viene dalla CGIL e abbiamo dei dirigenti di strutture pubbliche che vengono dalla CGIL. C’è coerenza nelle scelte del Ministro che vuole garantirsi interlocutori affidabili, oltre che validi. Si fa fatica pensare che non vi fossero altri candidati a ricoprire quelle posizioni altrettanto preparati e affidabili per l’Amministrazione.
Un tempo ci si schierava con lo Stato o contro lo Stato. Per i funzionari pubblici si può solo schierarsi dalla parte dello Stato. Non ci sono opzioni o alternative. Dalla parte dello Stato e non dalla parte del Governo. E nemmeno, peggio, dalla parte del Ministro. O, ancora peggio, dalla parte di quel Sottosegretario e non dalla parte di “quel” Ministro.
Il Sindacato era presente nel Consiglio di Amministrazione dell’Isfol, contribuiva a definire gli obiettivi e approvava il bilancio e gli affidamenti esterni. Ora non lo abbiamo più nel CdA ma, come ho riferito, è ben presente.
Lo stesso sindacato è quello di cui io da 32 anni, da quando sono all’Isfol, ho la tessera, perché io sostengo le sue lotte e perché vorrei che mi sostenesse a sua volta. Che difendesse il mio presente e mi aiutasse a costruire con gli altri lavoratori il nostro e il mio futuro (lavorativo).
Sono entrato all’Isfol il 2 settembre del 1974 e due mesi dopo ero il segretario della CGIL dell’Isfol. Allora era l’unico sindacato, c’erano iscritti anche i pochi dirigenti e i ricercatori. Mi battevo per un sindacato che rivendicasse migliori condizioni ma che fosse anche di progetto e di proposta. In un Ente pubblico di ricerca mi sembrava e mi sembra tuttora che non vi debba essere rottura della continuità tra lotta e proposta. Quando nel 1981 ho passato la mano come segretario a una collega (che dieci anni è Direttore Generale al Ministero del Lavoro) sono stato scavalcato “a sinistra” con slogan e posizioni che tendevano a creare un sindacato di pura rivendicazione, senza alcuna responsabilità sul progetto di Istituto di cui si dovevano responsabilizzare solo i “vertici” (leggi il Presidente e il Direttore Generale).
Sembra cronaca di un tempo lontano ma quando rifletto su quanto accade in queste ore nel piccolo mondo dell’Isfol non posso non riandare a quel periodo e al riproporsi di logiche già vissute e di tentativi reiterati di raddrizzare curve che non si possono tagliare senza gravi danni.
Noi siamo tra i teorici della complessità, ma quando agiamo ci dimentichiamo di rispettare la realtà e di chiamarla con i tanti nomi e con le tante identità di cui è intrisa.
Nelle foto che ho stampato recentemente sulla giornata del 17 febbraio del 1977 all’Università La Sapienza di Roma (il giorno di Lama) mi ha sorpreso di trovare un cartello contro “la Precarietà del lavoro intellettuale”. Avevo dimenticato che già trent’anni fa nelle Università “precari si era già”. Si lavorava gratis o per poche lire per i professori che nel frattempo erano troppo impegnati in ricche consulenze o in importanti ruoli politici di rappresentanza e si penava per avere una prospettiva concreta come ricercatori universitari.
Ora il fenomeno è esploso ed esistono quasi solo “precari”.
Precario è un aggettivo che si accompagna ad un sostantivo.
Dov’è finito il sostantivo? Si è perso nel momento di semplificare la complessità?
Fa più comodo farsi vedere e raccontarsi come “aggetto” piuttosto che come “soggetto”?
La vicenda del precariato all’Isfol, così come in molte altre realtà pubbliche, sono convinto si risolverà, con i tempi più lunghi del dovuto, ma si risolverà.
E
l’Isfol avrà ancora il problema di sovrabbondanza di risorse, come in tutti
gli anni recenti, e non un problema di scarsità di risorse finanziarie.
Quello che temo è che, a fronte di risorse finanziarie certe e in
grado di garantire lo stipendio a centinaia di ricercatori e assistenti e
funzionari e ausiliari e facchini e tecnologi, etc.
etc. si riveli presto una gap più difficilmente
colmabile. Quello relativo alla mancata disponibilità
di soggetti.
Tolta la precarietà che resterà?
Come già oggi capita spesso, avremo bisogno di ricorrere ad altri precari per tenere acceso il motore della macchina Isfol?
Avremo bisogno di grandi esperti per ideare le nostre ricerche? E di tante società per realizzarle? E di giornalisti per farci narrare? E di Comitati Scientifici per poterci garantire l’accesso alla comunità scientifica?
Non è invece questo il periodo da dedicare a costruire al nostro interno un possibile percorso di cooperazione,di collaborazione. Un tempo da dedicare al superamento dei muri e degli steccati che abbiamo innalzato per almeno dieci anni, per reimparare un linguaggio comune che abbiamo disimparato ad usare nelle nostre relazioni.
In questo percorso io penso che il sindacato debba svolgere un ruolo attivo. Un sindacato che rappresenti tutti.
Non un’Associazione professionale dei soli ricercatori. Non un’assemblea che riunisce come i CUB di un tempo tutti coloro che sono come proiettili sparati verso un solo bersaglio, quello della “stabilizzazione”.
Non un sindacato che tutela gli uni e non gli altri ma un Sindacato che raccoglie le domande, che ascolta, che elabora posizioni collettive e condivise, che propone e che stimola, che impegna la controparte e che , se serve si sostituisce ad essa quando vede un deficit di progetto.
Un Ente di ricerca che si rispetti non può avere un deficit di progetto in nessuna delle sue parti e nelle fasi di cambiamento il progetto deve riguardare tutti gli aspetti delle vita e del funzionamento di un organismo vivo.
Senza progetto niente.
Senza un disegno per la ricerca niente.
Senza un disegno per la gestione, niente.
Senza un progetto per i servizi, niente.
Senza un disegno per la comunicazione, niente.
Senza il Soggetto, niente.
……….
15 aprile 2007
Mi sono ricordato le riflessioni che ho fatto assieme a GiovanBattista Montironi nel 1994 alla vigilia delle elezioni. Si fronteggiavano i Progressisti e il “nuovo” esercito del cavalier Berlusconi appena sceso in campo. Ci si domandava cosa fossero i reali interessi in gioco e quale modello di società e soprattutto di economia fosse proposto dai contendenti. Il Professor Montironi, acuto come sempre, ipotizzava che fosse chiaro l’interesse del Blocco moderato e di destra: vogliono garantire nel tempo spazio alla Meccanica e alla Speculazione Edilizia. Sono un retaggio della seconda rivoluzione industriale con incrostazioni ottocentesche, alleate naturali le banche che nel nostro paese speculano. Dall’altra parte il modello degli interessi tutelati era meno chiaro ma il programma parlava di rivoluzione elettronica, di informatica, di globalizzazione, di Europa, di conoscenza. Si sono succeduti da allora più governi (allora vinse la destra e il “partito del mattone”) ma mentre non si mai verificata la “democrazia elettronica” che da sempre auspico, in modo molto netto abbiamo visto prevalere, consolidarsi, prevaricare, sondare, travalicare confini di partito, invadere tutte le classi sociali e i ceti la legge della speculazione edilizia.
E con la “scusa” di difendere la famiglia credo che la “dittatura del mattone” e la speculazione edilizia prevarranno ancora per molto.
Purtroppo dobbiamo dirci che l’Italia è una Repubblica fondata sul mattone e sui mutui per la casa (ovvero sui debiti garantiti per tutti per 20 o 30 anni per avere una casa che rappresenterà nel tempo un ostacolo per la modernizzazione del paese)
14 aprile 2007
Quando i fatti di cronaca toccano il quartiere in cui si vive e si scoprono legami con vicini e famigliari vien da chiedersi qual è la città in cui si vive quali sono i cittadini che la abitano, chi sono i giovani che riempiono le nostre strade di giorno e ancor più di notte, quando noi siamo chiusi in casa. Mi ha colpito la morte “accidentale” del “giovane 22enne di Montesacro” colpito da un amico con un coltello per risolvere con un gesto tragico un debito di 300 euro di cocaina (così hanno raccontato i giornali). I ragazzi si conoscevano, li conoscevano entrambi ragazzi loro coetanei che li avevano visti allontanarsi prima della conclusione tragica, loro sapevano probabilmente di che si trattava, sapevano come vanno queste cose, certo non si aspettavano che sarebbe finita così, non lo volevano per loro e nemmeno lo vorrebbero per loro. Ma è poi così lontano quel comportamento dal comportamento di tanti giovani che per “stare più tranquilli girano armati” di coltello o peggio di pistola. Acquistare “la robba” per fumarla o per sniffarla al di là di quello che provoca o produce nell’individuo la droga di per sé significa far parte di un mondo che io immagino “parallelo” rispetto al mio e rispetto a quello di quelli che frequento abitualmente. Quando entro in enoteca ( o la supermercato) per acquistare vino o quando entro in una tabaccheria per acquistare sigarette (per i figli) faccio un gesto “legale” e ho rapporti con persone “normali” che sono inserite nella società e nell’economia del paese, anzi, ho a che fare con persone che sono , in qualche modo “espressione dello Stato” perché trattano merci la cui vendita è regolamentata, quasi come per le medicine vendute in Farmacia. Quando i nostri ragazzi vanno a comperare 10 euro di “fumo” entrano in una realtà parallela, una società nella società, con le proprie regole , i propri giri, i sotterfugi, le violenze nascoste, le catene di connivenza, le relazioni dal piccolo al grande spaccio e si sentiranno, credo, dentro e fuori, per forza, da questo mondo che noi faticosamente abbiamo costruito (e sicuramente lo abbiamo costruito male se poi i ragazzi si ammazzano per 300 euro di coca acquistata per “sballarsi a Capodanno”…).
I figli si crede sempre di conoscerli e si sa che troppo sfuggono alla nostra capacità di comprensione. Più fanno fatica ad uscir di casa e a trovare una propria autonomia e più ci sfuggono.
4 marzo 2007
Oggi è quasi un primo giorno di Primavera. Ho incontrato per strada i primi raccoglitori di asparagi selvatici mentre tornavo in bici da Sacrofano. Vien voglia di mollare tutto e di vivere all’aperto!
Ci sono stati tanti cambiamenti in questo periodo e tanti se ne prospettano all’orizzonte.
Ieri abbiamo avuto la Luna Rossa, una bella eclissi ben visibile in una notte quasi tersa. E’ anche finito il Festival di Sanremo (ha vinto Cristicchi, credo viva a Sanremo perché non è un cantante che si ascolti durante gli altri mesi dell’anno).
Il Governo ha superato la crisi e Follini è diventato, come paventava De Gregari in un intervista recente per il Venerdì di Repubblica, il salvatore del centro-sinistra.
La sinistra è sempre più in crisi, per fortuna la destra non può godere troppo di un vantaggio competitivo perché anch’essa è in realtà molto divisa.
Nel nostro posto si lavoro anche sono arrivate novità di rilievo. Antonio C., il vecchio (e giovane, perché quarantenne) Direttore se n’è andato tornando in quel di Grosseto ed è arrivato Gianni Principe, dall’Isae e dalla CGIL.
I cambiamenti servono, ne abbiamo un gran bisogno, spero che si cambi molto, sia in linea che in nomi. Quello che temo è il prevalere di atteggiamenti gattopardeschi, speriamo non accada.
Alfredo T. il mio amici ex Dg dell’Isfol mi ha scritto una lunga lettera che prende spunto da quello che avevo scritto in questo diario. Dovrò rispondere con cura e quanto prima.
21 gennaio 2007
Per fortuna è domenica. Ieri giornata di “riflessione” dopo una serata passata in un ottimo ristorante (“Le Ninfe” di via Antamoro dove la cucina è raffinata, creativa senza essere concettuale e la musica è di casa) oltre che a mangiar bene a bene benissimo (vini toscani, campani, veneti e friulani con un finale tedesco). Ieri è stata anche la giornata in cui siamo andati a vedere “Il Grande Capo” di Lars von Trier. L’ho trovato ironico, intelligente, costruito con idee che a mio parere si sono rincorse in fase di realizzazione. Ben recitato. Un film godibile e fatto apposta per tutti coloro che vogliono anche guardarsi dentro mentre si guardano attorno. Peccato che al LUX la sala preveda anche la prima fila a due metri dallo schermo. E noi eravamo proprio in prima fila.
Sono tre giorni che non si fa che parlare del pubblico impiego. Dei dipendenti pubblici fannulloni. Della mobilità. Della necessità di cambiare registro. Sindacati sì, sindacati no. Bisogna concertare tutto oppure no?
Ci sono molte ambiguità emolti equivoci, credo che per troppo tempo le ambiguità si siano cercate e fortemente volute.
Seguo sia il sindacato che le amministrazioni da più di 30 anni e credo di comprendere come si sia voluto dire e non dire soprattutto per mantenere lo statu quo.
Il nostro è un Paese dove il consenso si è costruito, a destra come a sinistra, non per le riforme ma per non fare le riforme. Tutti hanno, o credono di avere, qualcosa da perdere in occasione della sia pur minima riforma e cambiamento.
Gli accordi si fanno sulle linee guida, si danno chiari indirizzi e questi si possono condividere.
Ma il sindacato non può entrare nel merito delle sorti della singola posizione, del singolo lavoratore se non per ottimizzare e per far rispettare regole, priorità e procedure. Non per difendere l’indifendibile e le posizioni che non ci sono più, come capita.
Costruire accordi seri non è facile perché occorre necessariamente avere tutte le informazioni sulle mission, sugli obiettivi operativi, sulle dimensioni organizzative, sulle competenze del personale impiegato, etc.
Questo implica uno scambio di informazioni ricco e costante, che superi la richiesta di segretezza che spesso nasconde la mancanza di indirizzi e di capacità gestionale da parte delle presidenze e delle amministrazioni in generale.
Chiediamo al sindacato di fare la sua parte mettendolo in condizione di poter valutare e decidere.
Mettiamo le amministrazioni di fronte alle loro responsabilità, e si sbaglia e non si raggiungono gli obiettivi, si cambia.
Ma chi definisce gli obiettivi?
Nella mia lunga esperienza di ricercatore pubblico non ho mai vista la mia organizzazione pubblica di ricerca definire obiettivi, né di massima né di dettaglio. In queste condizioni solo l’appartenenza al gruppo politico o alla cerchia dei sodali distingue il buon manager pubblico dal manager che va cambiato.
18 gennaio 2007
Ha fatto bene Rita a non venire alla Casa del Cinema.
Si sarebbe trovata come me a disagio in un luogo progettato per garantire a tutti il miglior agio.
Combriccole, congreghe,gruppetti di amici, di famigliari, di sodali, di gente legata da vincoli di censo, di ceto, d gruppo, ma soprattutto di tribù.
Ho fatto bene a non fare l’antropologo culturale, troppo avrei avuto da studiare sulle microculture. Riti e miti. Il rito del donare (solo) per poter chiedere, il bello del ritrovarsi e la necessità del riconoscersi uguali e del tutto diversi.
Pochi metri di distanza, uno sguardo nella sala, l’occhio che scruta i gradini, che penetra il buio, che scava dentro i gruppi.
Poi il piede che si muove e trova l’altro piede e l’appoggio.
Un abbraccio di saluto.
E poi…
E poi per fortuna il tavolo della presidenza si riempie, sono le 18 e 30 e Zizola è arrivato. E’ arrivata da tempo anche la regista del documentario ( Liliana Ginanneschi) e altri che si capisce dovranno intervenire.
Prende la parola l’esperto che presenta e illustra il lavoro di Francesco Zizola ( Alberto Dentice) e dopo poche parole le luci calano in sala e lo schermo si accende.
Finalmente a mio agio.
La prima immagine percorre il corpo di Francesco che cammina nel bush del Lesotho con la sua fotocamera appoggiata dietro la schiena.
Il documentario comincia a raccontare il reportage di Zizola dell’estate scorsa nel paese dell’Africa del sud devastato dalla pandemia dell’Aids.
La macchina da presa, digitale, segue il fotoreporter nel suo lavoro, nell’incontro con i bambini, con gli anziani, con le vedove.
C’è una piccola videocamera, una microcamera appoggiata sulla macchina fotografica e introduce una “soggettiva” interessante che permette di vedere “in presa diretta” gli scatti anche dal preciso punto di vista dell’autore delle immagini.
Il documentario è bello, Zizola è ben raccontato ed argute sono le osservazioni di Goffredo Fofi e le frasi scritte da Ferdinando Scianna.
Zizola viene seguito anche in studio quando stampa le foto, quando taglia le immagini, quando allestisce la mostra a sant’Egidio, a Trastevere.
Quando le immagini scompaiono, commenti.
Parla molto Zizola, un po’ di spazio anche alla regista (“volevo fare la fotografa, poi ho fatto cinema, ho studiato in Sudafrica…”), al produttore (“non c’è mercato per i documentari, per fortuna Rai Educational ha comperato i diritti per l’Italia…”) e anche alcuni autori presenti in sala. Parla anche Stefano, il fratello di Francesco (“deve ancora venire a liberare casa dalla camera oscura, allora quando vieni?).
Si parla del rapporto tra cinema e fotografia. Sempre di immagini si tratta ma ….
Inno alle immagini digitali (“Zizola governa la tecnologia, non si fa guidare, esalta le potenzialità, non ha paura…”).
Tutti noi facciamo fotografie. A volte anche noi ( a me capita) facciamo delle belle fotografie.
Zizola è un bravo fotografo.
Segue un progetto. Un impegno, una scelta di vita, una scelta professionale. Una scelta politica.
Nel 2007? Sì, una scelta di impegno politico che continua.
Conoscevo Zizola negli anni ’80. Ci si frequentava, si facevano progetti insieme.
Ci siamo persi di vista e lui è ora uno dei più acclamati fotogiornalisti del mondo.
In genere quando i miei amici diventano famosi (e ricchi) perdono un po’ alla volta le caratteristiche che ne fanno degli amici.
Francesco sembra diverso.
Lontano ma ancora presente.
15 gennaio 2007
Credevo che all’arrivo dei sessant’anni sarebbe stato facile cominciare a parlare nel mio diario delle cose che accadono intorno a me giorno per giorno.
E invece non è successo: Non è così facile parlare di argomenti diversi dalle mie uscite in bicicletta:
Da troppi anni sono inserito in una struttura, in un ruolo, in più ruoli e tutti i ruoli sembrano alla vista di tutti. E allora ogni idea, ogni pensiero diventano un’idea ed un pensiero che si offrono agli altri. Un mezzo per parlare agli altri e anche un modo per permettere agli altri di entrare in contatto, di entrare dentro le mie idee e i miei pensieri.
Oggi, dopo un anno dall’apertura del sito sto imparando a scrivere e a modificare direttamente le mie pagine web.
Giorno per giorno, o, meglio, settimana per settimana, nella home del sito comincerò a scrivere, come facevo un tempo, qualcosa di più personale.
La cosa mi preoccupa. La mia è una scelta. E’ solo una mia scelta.
La scelta di Frigo.